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Colecisti a porcellana

La colecisti a porcellana rappresenta una situazione in cui la parete interna della colecisti è calcifica. Sinomini ne sono colecisti calcificata, colecistite calcifica e cholecystopathia chronica calcarea. E’ un reperto spesso incidentale su un addome in bianco o con altra metodica diagnostica, con un paziente spesso asintomatico. Storicamente la sua importanza sta nel fatto che spesso tale condizione è stata associata alla insorgenza di cancri della colecisti (Machado).
L’estensione dell’interessamento della parete può essere limitato ad una porzione del rivestimento mucoso, sino ad interessare l’intera parete colecistica: è quest’ultimo il quadro più classico della definizione di colecisti a porcellana. Esisterebbero quindi sostanzialmente due tipi di colecisti a porcellana: quello in cui il coinvolgimento interessa solo la mucosa, e quello in cui tutta la parete della colecisti appare calcifica (Machado).
L’eziopatogenesi è legata alle stesse condizioni che determinano la litiasi della colecisti; si tratta quindi di tutte quelle situazioni di ristagno di bile in colecisti per un deflusso insoddisfacente della stessa. In senso stretto l’ipotesi è che la calcificazione interessi primitivamente lo stato muscolare, determinando quindi una devascolarizzazione della parete con successivo aumento della calcificazione.
L’incidenza sarebbe dell’1% di tutte le colecisti asportate chirurgicamente; le femmine ne sarebbero maggiormente affette con un rapporto di 5:1 rispetto ai maschi. L’età più spesso interessata si situa sopra i 60 anni. Nel 95% la colecisti a porcellana si associa alla presenza di colelitiasi; tale situazione cronica associata alla persistenza dei fattori causa di colelitiasi, sarebbero alla base del formarsi di una colecisti a porcellana.
Istologicamente, come detto, l’estensione dello stato calcifico è variabile. Nelle forme a macchia di leopardo si situano le condizioni più temibili per l’istaurarsi di una neoplasia; ciò sarebbe dovuto al formarsi di quadri infiammatori cronici della mucosa colecistica, siti tra le aree calcifiche (Machado). Nei casi di estesa calcificazione, la mucosa sparisce per cui essendo l’origine del ca. della colecisti dalla mucosa, il rischio sarebbe inferiore. Comunque, stabilire il rischio di neoplasia in base a queste caratteristiche deve essere preso ancora con prudenza (Machado).
Clinicamente il quadro può essere simile a quello di una calcolosi della colecisti, alla quale spesso la colecisti a porcellana si associa, ma nel 18% dei casi può essere asintomatico (Machado).
La diagnosi è spesso casuale, effettuata, nei casi con estesa calcificazione, con un Rx Addome in bianco (vedi immagine sopra) o una TAC (Patel). Anche una ecografia o una NMR possono suggerire la diagnosi. I dati di laboratorio sono spesso normali. Nei casi sintomatici la diagnosi differenziale viene posta con patologie infiammatorie intestinali o con ulcere o con quadri cardiaci o embolici.
La prognosi nei casi di colecisti a porcellana senza neoplasia è ottima; nel caso di cancro della colecisti è progressivamente più grave a seconda dello stadio della malattia neoplastica.
Il trattamento chirurgico è quello della colecistectomia, che sembra gravato da una maggiore incidenza di complicanze nei casi di colecisti a porcellana (Machado).
Esistono discussioni relative alla reale rischio di una colecisti a porcellana di determinare l’insorgenza di tumore della colecisti; tale evoluzione in termini percentuali sembra oggi ridimensionata. Mentre (Machado) alcune pubblicazioni non recenti riportavano una evoluzione neoplastica nel 7-60% dei casi, recentemente l’incidenza è stimata tra 0,8 e 6% (Machado, Schnelldorfer); sarebbe invece l’1% nei pazienti senza calcificazioni della colecisti. Ciò probabilmente è dovuta anche a diagnosi meno tardive rispetto ad un tempo (Machado). Il clinico, in presenza di una colecisti a porcellana, è facilitato nelle sue decisioni di procedere chirurgicamente nel caso la patologia sia sintomatica; nei casi asintomatici una decisione non è semplice: anche a causa delle complicanze chirurgiche possibili, sembra proponibile ai soggetti giovani, meno ovvia ad anziani nei quali sembra più appropriato un follow-up (Machado).
L’intervento è rappresentato classicamente dalla colecistectomia. Il trattamento laparoscopico sembra più complesso con un tasso di conversione a laparotomia del 5-25%. Complicanze nelle colecistectomie laparoscopiche usualmente intorno al 3% giungerebbero al 10-16% (Machado) nelle colecisti a porcellana. Sarà poi utile un attento esame istologico.

Bibliografia:

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK518979/
Machado NO, Sultan Qaboos Univ Med J. 2016 Nov;16(4):e416-e421.
Patel NJ, Abdom Radiol (NY). 2017 Jan;42(1):322-323
Schnelldorfer T, June 2013, Volume 17, Issue 6, pp 1161–1168

Il cancro della colecisti (dicembre 2014). Gallbladder cancer

E’ il tumore più frequente e più aggressivo tra quelli che interessano le vie biliari (5) (tra i quali si considerano oltre ai tumori della colecisti, i colangiocarcinomi intra ed extraepatici ed alcuni cancri periampollari) (NCCN, 1) ed è il sesto tumore per frequenza tra quelli gastrointestinali. E’ una malattia diffusa in India, Asia (Giappone), Est Europa e Sud America, soprattutto in Cile dove è la causa più frequente di decesso per tumore nelle donne.

Negli USA nel 2010 si contavano 12760 nuovi casi dei quali 9760 erano della colecisti e cancri extraepatici, mentre 3000 erano colangiocarcinomi intraepatici (1). L’incidenza di questi tumori è bassa rispetto agli altri, ma la loro mortalità è molto elevata. Ciò anche in quanto una diagnosi precoce è a volte difficile e spesso i pazienti sono inoperabili al momento della scoperta del tumore. Inolre tendono precocemente ad interessare le strutture circostanti, i vasi sanguigni, i linfatici ed i linfonodi (NCCN guidelines 2014).

Tra i fattori favorenti la sua comparsa si ritiene siano quadri di colecistite cronica con calcoli di volume aumentato, la cosiddetta colecisti a porcellana (anche se tale associazione sembra in netta diminuzione), anomalie della confluenza biliopancreatica, i polipi della colecisti singoli sintomatici e con diametro > 1 cm (NCCN). Le donne sono più predisposte degli uomini.

Il tumore della colecisti viene classificato in 4 stadi (AJCC) (vedi 3) a seconda della profondità di invasione nella parete della colecisti e degli organi circostanti e dei linfonodi. Lo stadio 1 è il meno grave. Lo stadio del tumore è il fattore prognostico più importante. In studi USA su 2500 pazienti con cancro della colecisti, la sopravvivenza a 5 anni è stata del 60% allo stadio 0, 39% allo stadio I, 15% allo stadio II, 5% allo stadio III e 1% allo stadio IV (NCCN).

Il cancro della colecisti può presentarsi in minore percentuale dei casi come un ispessimento della parete della colecisti; oppure nel 25% dei casi come una masserella con diametro superiore ai 2 cm nel lume della colecisti insieme a dei calcoli; oppure nella maggior parte dei casi come una massa in sede colecistica mal definibile dal fegato ed insieme a dei calcoli (1).

La terapia ideale è chirurgica: resezione chirurgica completa con assenza di tumore sui margini della resezione; comprende in genere la asportazione della colecisti con associata una resezione epatica limitata (segmenti 4B e 5) ed una linfoadenectomia (asportazione dei linfonodi dell’ilo epatico, del legamento gastroepatico e retroduodenali -NCCN).

Uno studio recente ed interessante è stato effettuato nel 2014 da Pilgrim (4). Questi affronta alcuni punti chiave del trattamento, sottolineando che bisogna modificare l’atteggiamento assolutamente negativo verso questo tipo di tumore.

L’autore per prima cosa sottolinea che un articolo del 2011 (5) effettuato su 261 pazienti affetti da ca. della colecisti, aveva stabilito che il principale fattore connesso con la sopravvivenza era una resezione senza residuo (R0). Quindi effettua uno studio, una metanalisi, inizialmente su 1490 articoli selezionandone 40. Tra gli argomenti importanti:

  • Una linfoadenectomia con asportazione di almeno 6 linfonodi è importante per lo “staging” dei pazienti, e comunque la colecistectomia unitamente alla asportazione di almeno 3 linfonodi dà un vantaggio in termini di sopravvivenza. Il numero dei linfonodi metastatici è importante per la prognosi, indipendentemente dalla loro sede (N1 o N2 – gli N1 sono quelli sino alla a. gastroduodenale). In conclusione una linfoadenectomia deve essere considerata obbligatoria.
  • Un altro fattore è T, cioè l’estensione del tumore nella parete della colecisti ed oltre. Da notare che il grado T è associato con un interessamento linfonodale che sarebbe del 12,5% nei T1, 31,3 nei T2 e 45,5% nei T3. Di nuovo quindi si sottolinea l’importanza di una linfoadenectomia. Complessivamente, a parte i tumori classificati come T1a (tumore che non raggiunge lo strato muscolare), negli altri è necessario eseguire un qualche tipo di epatectomia con una linfoadenectomia.
  • Nel caso di malattia che interessi il cistico, è necessaria una resezione della via biliare che quindi non deve essere fatta di routine ma solo in questo caso specifico.
  • L’ittero pre-operatorio deve essere considerato un cattivo fattore prognostico soprattutto se esiste una situazione di N1. Una parte di pazienti N0 con ittero può ricavare un vantaggio da una resezione R0, anche se questa può essere gravata da una maggiore mortalità. In questi casi una laparoscopia pre-operatoria può essere utile per identificare pazienti non operabili.
  • I tumori che invadono l’arteria epatica o la vena porta non possono essere considerati resecabili in modo radicale ed hanno una pessima prognosi.
  • Nel caso di colecistectomie laparoscopiche la excisione dei tramiti di ingresso degli strumenti non è più raccomandata.
  • Anche se il sesso femminile ha una maggiore incidenza di ca. della colecisti, la prognosi di tale malattia è uguale nei due sessi.
  • Valori elevati di CA 19-9, in particolare se superiori a 90 U/ml, indicano nel 95% dei casi una non resecabilità del tumore.

In conclusione Pilgrim consiglia un trattamento adeguato del tumore, in particolare in relazione alla linfoadenectomia.

Infine recentemente è stato pubblicato un articolo in cui nei casi non operabili si segnalano buoni risultati con la associazione di gemcitabina e cisplatino (6)