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Diagnosi e trattamento della fistola pancreatico digiunale dopo duodeno cefalo pancreasectomia (DPC)

Esistono diversi articoli sulla definizione e sulla diagnosi precoce delle fistole pancreatiche dopo DPC (POPF=post-operative pancreatic fistula). Ne esistono meno, riguardanti i dettagli nella diagnosi radiologica e soprattutto sul trattamento di una deiscenza dell’anastomosi pancreatico digiunale.

L’incidenza sembra situarsi tra il 3-12% nelle DPC (4,6,7) ma appare variabile; più bassa nei casi di pancreatite cronica (0-5%), più elevata in caso di pancreas soffici (sino al 16%)(4).

La definizione di una fistola pancreatica è ormai ben codificata dall’International Study Group on Pancreatic Fistula e riportata ancora da Bassi (1). Consiste nella presenza nei drenaggi, dalla terza giornata postoperatoria, indipendentemente dalla quantità di volume del liquido, di un contenuto di amilasi superiore di almeno 3 volte il normale valore di amilasi nel plasma. Una volta definita la presenza di una fistola il grading viene effettuato i base a 9 criteri clinici: le condizioni del paziente, trattamenti specifici, reperti ecografici e TAC, la persistenza oltre 3 settimane, reinterventi, segni di infezione, sepsi etc (9); Si distinguono quindi  clinicamente POPF di grado A, B e la più grave, necessitante un intervento chirurgico per un quadro di sepsi, di grado C. In prima giornata postoperatoria invece, rilevare un a concentrazione di amilasi > 5000 permette di identificare i pazienti a rischio di fistola.

La diagnosi radiologica, ritenuta poco importante sino a pochi anni fa (1), oggi, riportata dai diversi autori, consiste per alcuni nella evidenza alla TAC, intorno alla anastomosi pancreatico digiunale, di liquido (9) a volte con bolle d’aria (2). Alcuni sottolineano l’importanza diagnostica di una fistolografia attraverso i drenaggi posti in sede intraoperatoria (9). Altri autori sottolineano la possibile presenza alla TAC di un “gap” cioè un difetto, tra il pancreas e l’ansa digiunale (3).

La terapia delle fistole di grado C può essere variabile; alcuni (6) suggeriscono il posizionamento percutaneo di drenaggi multipli, posti il più possibile in vicinanza della fistole ed anche utilizzando i tramiti dei precedenti drenaggi (6), con la speranza di ottenere un drenaggio esterno della fistola evitando così l’erosione di strutture circostanti; in situazioni di emodinamica instabile e di evidenza alla TAC di deiscenza (3) alcuni suggeriscono un intervento chirurgico (nel 5-20% dei casi secondo Ryska) tramite: A) il posizionamento chirurgico di drenaggi multipli; oppure B) la trasformazione della anastomosi pancreatico digiunale in una pancreatico gastrica; C) l’abolizione della anastomosi pancratico digiunale senza una nuova anastomosi. D) una pancreasectomia totale (2,5) che comporta però una mortalità molto elevata. Alcuni autori recentemente (3) suggeriscono E) una tecnica con stent a ponte consistente nel posizionare uno stent di 6-8 fr  nel wirsung da un lato ivi fissandolo e nell’ansa digiunale dall’altro, con una borsa di tabacco intorno. Altri ancora riferiscono la possibilità di  F) resecare l’ansa digiunale deiscente e di occludere il moncone pancratico (8).

 Bibliografia

1) Bassi C: Surgery 2005;138:8-13
2) Bassi C: J Hepatobiliary Pancreat Surg (2008) 15:247–251
3) TS Kent: HPB 2010, 12, 577–582
4) Hackert T: The surgeon n.9 (2011), 211-7
5) Machado NO: International Journal of Surgical Oncology, Volume 2012, Article ID 602478, 10 pages, doi:10.1155/2012/602478.
6) Pedrazzoli S: Annals of Surgery • Volume 249, Number 1, January 2009
7) El Nakeeb A: World J Surg (2013) 37:1405–1418
8) Ryska M: Hepatobiliary Surg Nutr 2014;3(5):268-275

9) Malleo G: Langenbecks Arch Surg. 2014 Oct;399(7):801-10

La colecistectomia subtotale.

Jama surg

Gli interventi di colecistectomia non sono tutti uguali. Esistono colecistectomie “difficili”. In questi casi vi sono diverse possibilità; una di queste consiste nell’esecuzione di una colecistectomia subtotale. Uno studio interessante su questa opzione è stato effettuato recentemente, con un articolo da Autori del Kettering General Hospital in UK e del Department of Human Physiology, Laboratory of Biometry, University of Tor Vergata, Rome, Italy.

Si tratta di uno studio effettuato sulla base di articoli della Letteratura, con una metanalisi.

Una colecistectomia difficile sembra si abbia in circa il 16% delle colecistectomie aperte o laparoscopiche. Tra le tecniche impiegate vi sono la colecistostomia (per ovviare alla infiammazione della colecisti), oppure la colecistectomia partendo dal fondo (contrariamente alla tecnica usuale) o, appunto, la colecistectomia subtotale. Lo scopo di queste tecniche è di evitare lesioni della via biliare principale, cioè del coledoco.

La colecistectomia subtotale asporta solamente parti della colecisti e non la colecisti nella sua interezza.
Da una raccolta iniziale di 750 articoli, 30 vennero ritenuti idonei per lo studio comprendendo complessivamente 1231 pazienti sottoposti ad una  colecistectomia rivelatasi difficile.
La tecnica della colecistectomia subtotale consiste nell’aprire o perforare la colecisti a livello del fondo o della tasca di Hartmann, aspirandone il contenuto, quindi nella resezione ed asportazione della parete anteriore; poi si procede ad asportazione ma più spesso a coagulazione della parete posteriore che rimane attaccata al letto della colecisti; il cistico quindi viene suturato dall’interno o clippato o legato (endoloop, endoGIA) o viene effettuata una borsa di tabacco sul moncone di colecisti. Viene quindi posizionato in genere un drenaggio.

Le complicanze postoperatorie riportate dai vari studi comprendono:
– una fistola biliare nel 18% dei casi (in particolare nel 42% dei casi in cui il cistico non viene chiuso, nel 16% nel caso esso venga chiuso, nel 20% dei casi in cui la parete post della colecisti non venga asportata e nel 7% nel caso lo sia, nel 31% delle colecistectomie laparoscopiche e nel 6% di quelle laparotomiche). Tali fistole si risolsero spontaneamente e rapidamente (tra la 4° e la 12° giornata postoperatoria solo nel 5% dei pazienti).
– Una raccolta sottoepatica nel 2,9% dei casi (in particolare nel 19% dei casi in cui il cistico non viene chiuso, nell’1,5% nel caso esso venga chiuso)
– Una lesione del coledoco nello 0,08% dei pazienti, una emorragia nello 0.3%, una ritenzione di calcoli nel 3%.
– La necessità di una Colangiografia retrograda (ERCP) nel 4% dei pazienti (causa la ritenzione di calcoli nel 58% dei casi, e nel 30% per persistenza di una fistola biliare).
– Un reintervento vero e proprio nell’1,8% dei pazienti e nel 5% dei casi in cui il cistico non era stato chiuso.

La mortalità dopo 30 giorni è riportata dello 0,4%. Complessivamente non ci sono differenze statisticamente significative a seconda che il cistico venga chiuso o no, o che la parete post della colecisti venga asportata o no. Comunque l’approccio laparoscopico rispetto a quello laparotomico presenta minore morbidità e mortalità.
L’incidenza di complicanze del coledoco risulta quindi più bassa nelle colecistectomia subtotali che in quelle totali (0,08% in laparoscopiche e laparotomiche vs 0,4% nelle laparoscopiche). In particolare tale complicanza risulta praticamente assente nei casi in cui il cistico o il moncone della colecisti non viene chiuso.
Una emorragia è assente nei casi in cui, soprattutto nei pazienti cirrotici, la parete post della colecisti non venga asportata.
Fistole biliari e raccolte sottoepatiche sono prevedibilmente più frequenti nelle colecistectomie subtotali (18% vs 0,3% nel primo caso e 2,9% vs 0,1% nel secondo). L’incidenza di queste complicanze sarebbero maggiori nei pazienti cirrotici.
L’incidenza di reinterventi chirurgici e di mortalità sarebbe maggiore nelle colecistectomie subtotali che nelle totali (1,8% vs 0,2%; 0,4% vs 0,08%) ma non ci sarebbero differenze a seconda che il cistico o il moncone della colecisti venga chiuso o che la parete post della colecisti venga asportata.
In conclusione la colecistectomia subtotale è una tecnica che deve essere presa in considerazione nelle colecistectomie difficili, in particolare in quanto evita lesioni del coledoco. Ovviamente non può sostituire la classica colecistectomia totale.

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Mohamed Elshaer, MD; Gianpiero Gravante,MD, PhD; Katie Thomas, MD, PhD; Roberto Sorge, PhD; Salem Al-Hamali, MD; Hamdi Ebdewi, MD
Subtotal Cholecystectomy for “Difficult Gallbladders”. Systematic Review and Meta-analysis
JAMA Surg. doi:10.1001/jamasurg.2014.1219 Published online December 30, 2014.

Jama surg

Fistole pancreatiche post-resezione

Le fistole pancreatiche hanno una incidenza che in letteratura è variabile a seconda delle definizioni.
In realtà la stessa definizione di deiscenza (leak) o Fistola pancreatica non è saldamente acquisita anche se l’international Study Group on Pancreatic Fistula (ISGPF) ha cercato di fornirne una: la definizione più comune è “una fuoriuscita attraverso un drenaggio posto in sede di intervento o successivamente, di una qualsivoglia quantità di liquido dalla 3° giornata postoperatoria inclusa, con un contenuto di amilasi uguale o superiore a 3 volte il limite superiore dei valori normali serici” (Bassi 2008). Da tener presente che la deiscenza rappresenta la forma acuta mentre la fistola rappresenta una deiscenza ormai cronicizzata e controllata (Mahvi 2009).
L’incidenza di fistole pancreatiche è elevata sia nelle pancreasectomie distali (Molinari 2007: 33%) che nelle cefalo duodeno (Molinari 2007:14%) e particolarmente specifica per i pancreas “soffici” e, secondo alcuni nei wirsung con diametro ≤ 3 mm (Basi 2008). La persistenza invece dei drenaggi addominali oltre POD 8 è correlata con un’alta incidenza di complicanze addominali, in quanto si ritiene che da POD 7 i drenaggi possano essere fonte di infezione (Molinari).
Le fistole pancreatiche sono ulteriormente suddivise in ad alta o bassa portata a seconda che la quantità nei drenaggi sia > o < a 200 cc (Bassi 2008). Dalla Letteratura si evince che la correlazione tra il valore delle amilasi nei drenaggi e la insorgenza di una fistola pancreatica, non è ancora chiaro (Molinari 2007). Ad ogni modo la presenza di una amilasemia > 5000 UI nel drenaggio parapancreatico in POD 1 è altamente predittivo di fistola pancreatica (Molinari 2007), per cui tali pazienti potrebbero beneficiare di un digiuno più prolungato e di maggiore attenzione mentre i pazienti con amilasi nei drenaggi < 5000 UI in POD 1 potrebbero essere trattati con una rimozione precoce (POD 7-8) dei drenaggi stessi.
Clinicamente si distinguono tre gradi di fistola pancreatica post operatoria (POPF): la forma “A” non ha caratteri clinici evidenti, con un paziente che sta bene e con una TAC negativa per raccolte. Il tipo “B” è caratterizzato da pazienti con febbre, leucocitosi e dolore e con immagini liquide alla TAC che richiedono un ri-posizionamento dei drenaggi addominali; il trattamento è a base di AB e di somatostatina; la degenza è prolungata ed i paziente può essere dimesso con i drenaggi ancora in sede. Il Tipo “C” è caratterizzato da un quadro clinico più grave, con raccolta endoaddominale, tendenza alla sepsi, alla necessità di TPN ed eventualmente di rianimazione; Da notare che nei tipi “B” e “C” è auspicabile una fistolografia per evidenziare se l’ansa viene visualizzata immediatamente il che potrebbe significare che il drenaggio deve essere modicamente ritirato (Bassi 2008).
La diagnosi oltre che clinica si basa sulla TAC che evidenzia raccolte addominali con anche minimi contenuti aerei (Bassi 2008).
Nelle forme A e B (85%) dei casi è sufficiente un trattamento conservativo con liquidi, AB, digiuno e somatostatina/Octreotide (anche se discussi in quanto la riduzione volumetrica della fistola non influenza la fistola stessa – Mahvi 2009). Nel tipo 3 esistono diverse opzioni che includono comunque un re intervento con drenaggio multiplo, o conversione anastomotica, pancreasectomia o chiusura della anastomosi. Un re intervento è comunque raramente indicato in pazienti ormai fragili che è meglio trattare in modo conservativo. Nelle fistole croniche il ritiro del drenaggio è sufficiente per determinare un aumentata resistenza al liquido e quindi chiudere la fistola (Mahvi 2009).