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Angiomi del fegato: diagnosi differenziale e terapia.

Gli angiomi del fegato rappresentano il 73% dei tumori benigni del fegato, con una frequenza dello 0,4-7,3% nelle autopsie e, dopo le metastasi, rappresentano la neoformazione più frequente del fegato [2]. Sono più frequenti nelle donne, avvalorando l’ipotesi di una possibile con-causa ormonale (uso di contraccettivi a base di estrogeni, influenza della pubertà e della gravidanza). Angiomi giganti sono in genere definiti quelli con diametro > 4 cm di diametro, ma si tratta di una definizione probabilmente riduttiva ed il termine andrebbe piuttosto riferito  a quelli > 10 cm [2].

Un emangioma non ha evoluzione maligna [2,8]). Le complicanze emorragiche da rottura sono molto rare riportate con una incidenza < 1% [4] o 1,2% [8]: vi sono solo 50 casi di rottura spontanea in Letteratura e 5 traumatica [2].

Nella decisione se trattare o meno un angioma, è importante sapere con una certa certezza se si possa fare diagnosi di angioma o invece di angiosarcoma, che è invece un tumore epatico molto raro (2% dei tumori epatici –[10]-; incidenza di 0,5-1 caso per milione di abitanti –[3]-, solo 64 casi riportati in Letteratura sino al 2014 –[4]-) ma estremamente maligno.

Sembra che l’angiosarcoma abbia una maggiore incidenza nei casi di malattia epatica quale la emocromatosi o dopo esposizione a cloruro di vinile, un composto utilizzato nella produzione dei materiali in PVC. Alcuni ipotizzano una relazione anche con anabolizzanti androgenici [4]. L’angiosarcoma epatico rappresenta il 5% di tutti gli angiosarcomi [4]; colpisce soprattutto il sesso maschile, tra i 50 ed i 70 anni, è spesso sintomatico (emoperitoneo nel 15-27% dei pazienti secondo Zheng [4], compressione di strutture vascolari [3]) ed appare spesso come una lesione multifocale [3,6,7,10] con lesioni in entrambi i lobi del fegato [3] in un paziente già prostrato dalla malattia [3]. Alcuni autori suggeriscono l’importanza del rapido accrescimento di una lesione considerata un angioma sulla base di un caso di rapido accrescimento e di rottura [4.5].

In definitiva nella diagnosi differenziale tra angioma ed angiosarcoma si possono considerare i fattori sopradetti: l’angiosarcoma colpisce più spesso il sesso maschile, in età avanzata, è multifocale, a volte si associa con l’emocromatosi, spesso si presenta con una sintomatologia o con un quadro di rottura con emorragia della lesione; infine un fatto che potrebbe essere importante è che l’angiosarcoma o quantomeno le sue metastasi sono positive alla PET con FDG [6].

Purtroppo una diagnosi di certezza tra angioma e angiosarcoma il più delle volte è difficile da ottenersi prima della asportazione della neoformazione, ed è basata su studi di immunoistochimica dell’angiosarcoma [4,6,7]. Una biopsia può essere pericolosa e spesso non diagnostica [4].

La prognosi per l’angiosarcoma è pessima, con rapidissima progressione (pochi mesi) e decesso riportato in genere dopo 6 mesi dalla diagnosi [4]; la resezione è spesso seguita da una recidiva [3] ed il trapianto di fegato attualmente non è indicato visti i risultati disastrosi in termini di recidiva [3].

Gli angiomi epatici invece, non necessitano in genere di essere trattati; divengono in genere oggetto di trattamento nel caso di sintomatologia (dolori), o nel dubbio diagnostico con gli angiosarcomise caratterizzati da rapido accrescimento (circa 11-17% delle indicazioni alla chirurgia-[8,9]),  in caso di rottura o di emorragia intralesionale, nella sindrome di Kasabach-Merritt – grave coagulopatia con piastrinopenia- e nel caso di compressione di organi o vasi (ostruzione allo svuotamento gastrico – gastric outlet obstruction -, e nella s. di Budd chiari)[2].

Le dimensioni di per se non rappresentano una indicazione al trattamento [2]. Uno studio recente [8] effettuato in 6 ospedali USA e riguardante 241 pazienti con angioma sottoposti a chirurgia, suggerisce come unico motivo di intervento chirurgico la presenza di dolori mentre contesta la correttezza di indicazioni quali l’incertezza di una diagnosi – che dovrebbe essere quasi sempre possibile – o l’aumento di volume. Ma non tutti gli autori sono d’accordo [9].

In ambito terapeutico medico, in alcuni casi si sono usati farmaci monoclonali attivi contro alcuni fattori di crescita (VEGF) angiogenici.

Nel caso si decida per un intervento le opzioni sono: la chirurgia, tramite resezione o enucleazione (quest’ultima tecnica a volte fonte di sanguinamento [11]); va detto comunque che la terapia chirurgica comporterebbe un rischio di mortalità dello 0,8%, entro 30 giorni dall’intervento [8], dato quindi da non trascurare per una patologia benigna.

Una seconda opzione è la embolizzazione trans-arteriosa – ma si tratta di una terapia non risolutiva [1] –; oppure, come recentemente riportato, la termo ablazione percutanea o laparoscopica [1,12], o con Micro-onde nel caso di emangiomi  > 5 cm di diametro [12]. Quest’ultima opzione è meritevole di attenzione come possibilità mininvasiva di trattamento.

 

1) Emerson E. Sharpe III: J Vasc Interv Radiol 2012; 23:971–975
2) Toro A.: Annals of Hepatology , 2014; 13 (4): 327-339
3) Orlando  G: Transplantation 2013;95: 872-877
4) Zheng Y-W: Journal of Gastroenterology and Hepatology 29 (2014) 906–911
5) Okano A: Intern. Med. 2012; 51: 2899–904
6)Thapar S: Radiology Case. 2014 Aug; 8(8):24-32
7) Huang H: Quant Imaging Med Surg 2014;4(4):291-293
8) Miura JT: HPB 2014, 16, 924–928
9) Groeschl RT: Hepatogastroenterology. 2014 Oct;61(135):2009-13
10) Bruegel M: Abdom Imaging (2013) 38:745–754
11) Ulas M: Hepatogastroenterology. 2014 Jul-Aug;61(133):1297-301
12) Tang XY: J Dig Dis. 2014 Jun 19. doi: 10.1111/1751-2980.12169. [Epub ahead of print]