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Epidemia da Coronavirus e Trapianti di Fegato

Link: https://onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1111/ajt.15948

L’impatto dell’epidemia da Coronavirus sui programmi di Trapianto di fegato in Nord Italia

Nel Gennaio 2020 la Malattia 2019 del Nuovo Coronavirus  (COVID-19) diede luogo ad una pandemia globale, creando incertezza sulla gestione dei programmi di Trapianto di Fegato. La Lombardia in Italia fu la regione maggiormente colpita; al 10 Aprile 2020 il tasso di mortalità corrente per pazienti affetti da COVID-19 era del 18,3% (10.022 decessi) e gli ospedali in Lombardia furono costretti ad espandere la loro capacità di ricoveri in Rianimazione da 724 a 1381 letti per far fronte all’epidemia.

C’è stato un drastico calo nei donatori di fegato.

Dal 23 febbraio al 10 Aprile 2020, in Lombardia vennero effettuati 17 trapianti di fegato. L’età media dei donatori era di 49 anni (18-74) mentre quella dei riceventi di 55 (13-69). Il punteggio MELD medio è stato di 12 (6-24). Tutti i donatori erano stati sottoposti a “screening” per il SARS CoV-2 prima della donazione. Due riceventi, dopo il trapianto, risultarono positivi per COVID-19 ed uno di essi decedette in 30° giornata postoperatoria. Sedici pazienti sono vivi  (10 aprile 2020) dopo una media di 30 giorni dal trapianto (range 3-46). 10 pazienti sono stati dimessi

Questo studio non ha trovato motivi particolari per mettere in dubbio la sicurezza dei riceventi tali da arrestare l’operatività dei trapianti di fegato. Nell’articolo vengono riportati diversi suggerimenti chiave da considerare in circostanze simili. Comunque, considerando la complessità degli avvenimenti in corso di una pandemia virale, la cessazione o la riduzione della attività di trapianto di fegato può essere una necessità pragmatica.

Link: https://onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1111/ajt.15948

MMF e leucopenia

Un aspetto che a volte si riscontra nella fase post-trapianto è una leucopenia/neutropenia.

Risultati immagini per leukopenia


Anche se tale neutropenia può essere dovuta a molteplici fattori quali infezioni sistemiche da virus o altri patogeni, disordini maligni linfoproliferativi etc, la causa più frequente è dovuta all’uso di farmaci.
Dopo trapianto, in questo caso di rene, una neutropenia può essere dovuta a vari immunosoppressori (micofenolato, azatioprina, antitimoglobuline, rituximab), antibiotici o farmaci antivirali (thrimethoprin, ganciclovir, valganciclovir) o altri farmaci (inibitori di pompa protonica, inibitore dell’enzima di conversione dell’angiotensina).
Il MMF è uno dei farmaci che più frequentemente può indurre neutropenia; in Letteratura, per quanto riportato da Matsui, vengono riportati 6 studi che confermano questa associazione: studiando i tempi di insorgenza, ritenendo comunque che in origine il valore dei globuli bianchi fosse normale, pare che ci vogliano 80-160 giorni dall’inizio del trattamento con MMF per avere una neutropenia; a volte tale latenza potrebbe essere più breve (in media 79 giorni, 16-365) causa il concomitante uso di steroidi, che interferirebbero aumentando il micofenolato “libero” tossico, cioè non legato alle albumine; dosi basse di albumine inoltre possono aumentare la parte “libera” di MMF, risultando in una maggiore esposizione e tossicità.

Matsui K, Clin Exp Nephrol (2010) 14:637–640

Fumo e trapianto di fegato

 


Il fumo di tabacco, di cui fanno uso 1 su 5 persone con età superiore ai 15 anni nella popolazione generale, è uno dei principali fattori di rischio per diverse malattie croniche, per cancro, malattie polmonari, cardiovascolari ed ulcere peptiche. Il fumo rappresenta anche un fattore di rischio per infezioni batteriche e virali. Favorisce inoltre lo sviluppo di malattie renali croniche (Corbett). Nel mondo è responsabile della morte di circa 6 milioni di persone all’anno.
Nei pazienti trapiantati il fumo può essere ancora più pericoloso: infatti, a causa dell’immunosoppressione, i pazienti trapiantati sono già maggiormente soggetti a infezioni, cancro, e malattie cardiovascolari, che possono essere accentuate appunto dal fumo. Così l’Associazione Americana per lo studio delle malattie epatiche e la Società Americana dei Trapianti hanno esposto nel 2012 delle linee guida che raccomandano caldamente ai pazienti da sottoporsi a trapianto di fegato o di rene, di astenersi dal fumo. Nonostante ciò alcuni studi segnalano che tra l’11 ed il 40% dei pazienti sottoposti a trapianto riprendono a fumare.
Il problema è variamente sentito dai medici trapiantatori: in un sondaggio nei vari Ospedali Statunitensi al quale risposero nel 2015 il 46% dei Centri, il 75% di essi riferiva di avere un protocollo per i fumatori e che l’84% di questi protocolli prevedeva la cessazione del fumo (Fleetwood).
Nel 2008 Heide studiò 401 pazienti per almeno 2 anni dopo il trapianto di fegato:il 53% non avevano mai fumato, il 30% circa avevano fumato in passato mentre circa il 17% erano i fumatori attivi; dopo il trapianto circa il 2% dei non-fumatori presero a fumare; il 12% dei fumatori pregressi ripresero a fumare dopo il trapianto; tra i fumatori attivi al trapianto circa il 30% smisero prima del trapianto e tale percentuale rimase tale anche dopo il trapianto. I fumatori attivi al momento del trapianto erano soprattutto quelli trapiantati per cirrosi alcolica. Il fumo non influì sulla sopravvivenza dei fegati e dei pazienti; però nuovi tumori comparvero con frequenza maggiore nei fumatori rispetto ai non fumatori; dopo 15 anni dal trapianto il rischio di sviluppare un tumore fu del 18,2% nei fumatori e del 7,7% nei non fumatori.
Uno altro studio (Leithead) del 2008 veniva focalizzato sui pazienti trapiantati di fegato; ne vennero considerati 136; da questo studio venne dimostrato che i fumatori attivi, sottoposti a trapianto di fegato, presentavano una aumentata mortalità rispetto ai non fumatori: con una sopravvivenza a 1, 5 e 10 anni rispettivamente del 94-68-54% rispetto a 94-83-77%. Tale mortalità era in particolare dovuta a patologie cardiovascolari ed infettive, e non a tumori.
Altri hanno dimostrato (Corbett) che il fumo nel sistema immunitario di un trapiantato, determina una maggiore proliferazione dei linfociti T, favorendo quindi episodi di rigetto. Lo stesso Autore riferisce, nei riceventi fumatori, una maggiore incidenza di tumori rispetto ai non fumatori (12,7% verso il 2,1%). Nei pazienti trapiantati di fegato il fumo aumenterebbe il rischio di trombosi arteriosa, complicanze biliari e tumori (Corbett 2012) con una incidenza del 13% rispetto a 2%. 
Mangus nel 2015, tramite uno studio su 1275 pazienti adulti, studiò anche pazienti trapiantati di fegato tra il 2001 ed il 2011: i pazienti che fumavano o avevano appena smesso di fumare al momento della messa in lista per trapianto, rispetto ai non fumatori, presentavano una maggiore frequenza di comparsa di nuovi tumori, in particolare di tumori non cutanei quali quelli del capo e del collo, del polmone, di linfomi e di tumori dell’apparato genito-urinario.
I pazienti fumatori inoltre dimostravano una sopravvivenza a 10 anni statisticamente significativamente peggiore rispetto ai non fumatori (70% vs 57%).
Una pubblicazione del 2016 di Duerinckx tramite metanalisi effettuata su 73 studi ha rilevato, nei fumatori rispetto ai non fumatori dopo trapianto (di organo solido), l’esistenza di maggiori probabilità statisticamente significative di malattie cardiovascolari (OR: 1,41), di tumori non cutanei (OR: 2,58), e di aumentata mortalità (OR: 1,74). I pazienti che più frequentemente erano dediti al fumo dopo il trapianto erano, uomini, giovani e con basso Body mass Index (BMI) cioè di peso minore.

Leithead JA, 2008, Liver Transplantation, 14:1159-64
Heide 2009, Liver Transplantation, 15:648-55
Corbett 2012, Transplantation, 94 (10):979-87
Fleetwood 2015, J Gastrointest Surg, 19;2223-7
Mangus 2015, Transplantation, 99:1862-8
Duerinckx 2016, Transplantation, 100:2252-63

Ascite refrattaria dopo trapianto di fegato

Ascite refrattaria post trapianto di fegato

La cosiddetta ascite refrattaria dopo il trapianto è un problema non comune e per questo poco studiato in Letteratura.

La definizione di ascite refrattaria in genere comprende un ascite di durata superiore alle 4 settimane dopo il trapianto (Gotthardt).

La sua incidenza sembra essere negli adulti tra il 4-7% (Quintini, Gotthardt).

La causa di tale quadro è molteplice: si va dall’ostacolato afflusso o efflusso dal fegato (Gotthardt), al rigetto acuto e cronico, le epatiti ricorrenti (Aboulijoud), la disparità di dimensioni tra fegato del donatore e quello del ricevente (gotthardt), lo scompenso cardiaco sino alle infezioni peritoneali (la causa più frequente secondo Gotthardt), insufficienze renali, alterazioni idroelettrolitiche. (Quintini).

Ne sono maggiormente colpiti pazienti che prima del trapianto presentavano ascite (Gotthardt).

I pazienti affetti da tale patologia hanno una minore sopravvivenza ad 1 anno dal trapianto (75% vs 92%)(Gotthardt, Ghinolfi)).

L’eziopatogenesi sarebbe legata spesso ad un iperafflusso portale (Quintini) o/e alla ipertensione portale. Alcuni ritengono che la causa sia più spesso legata all’iperafflusso portale più che ad una maggiore resistenza al flusso portale (riportato da Chen). Tale iperafflusso determinerebbe inoltre, per effetto “buffer”, una vasocostrizione dell’arteria epatica (Presser).

Le opzioni terapeutiche sono diverse: diuretici, antibiotici, antimicotici, antivirali (Gotthardt), paracentesi, TIPS, uso di stent a palloncino nel caso soprattutto di stenosi anastomotiche nei trapianti effettuati con tecnica di piggy-back (Gotthardt), sino al ritrapianto.

La TIPS in pazienti trapiantati è stata dapprima adottata sin dal 1998-1999 (rif da Ghinolfi) in pazienti con ascite da recidiva dell’epatite da virus C. Quindi la sua efficacia è stata transitoria, in genere come ponte ad un ritrapianto. La TIPS in realtà non pare altrettanto efficace come nei pazienti non sottoposti al trapianto (Chen) anche se alcuni autori hanno ottenuto ottimi risultati (Ghinolfi) con risoluzione della sintomatologia ascitica nell’84% dei casi (16 pazienti su 19). E’ stata utilizzata per vari quadri clinici oltre all’ascite includendo sanguinamenti da varici o ostacoli all’efflusso dal fegato (Aboulijoud). Una interessante review è stata effettuata da Chen nel 2015 sull’utilità della TIPS post trapianto in 168 casi di ascite refrattaria: un successo clinico si ebbe nel 57% dei casi. Una encefalopatia si sviluppò nel 33% (Chen) e nel 31% (Ghinolfi) dei pazienti  La procedura venne effettuata in media dopo 1 anno e 6 mesi dal trapianto.

Negli ultimi anni è stata proposta e si esegue anche la embolizzazione prossimale dell’arteria splenica (Quintini), allo scopo di ottenere una diminuzione del flusso portale. Tale embolizzazione viene di solito eseguita dopo qualche mese dal trapianto (Quintini: 70 gg in media). Quintini riporta i risultati di 6 casi, dei quali 5 ebbero una completa risoluzione dell’ascite. Per questo motivo gli autori propongono la embolizzazione della arteria splenica come trattamento di prima linea nell’ascite refrattaria post-trapianto.  La procedura inoltre non è gravata da complicanze quali infarti o ascessi splenici (Presser).

Quintini C: Liver Transplantation, 2011, 17:668-673
Gotthardt DN; Ann Transplant, 2013: 18: 378-383
Chen B; Hepatol Int (2015) 9:391–398
Presser N; Liver Transplantation, 2015; 21:435–441
Ghinolfi D; Clin Transplant 2012: 26: 699–705
Aboulijoud M; Transplant. Proc., 37, 1248–1250 (2005)