Archivi tag: colecisti

Colecisti a porcellana

La colecisti a porcellana rappresenta una situazione in cui la parete interna della colecisti è calcifica. Sinomini ne sono colecisti calcificata, colecistite calcifica e cholecystopathia chronica calcarea. E’ un reperto spesso incidentale su un addome in bianco o con altra metodica diagnostica, con un paziente spesso asintomatico. Storicamente la sua importanza sta nel fatto che spesso tale condizione è stata associata alla insorgenza di cancri della colecisti (Machado).
L’estensione dell’interessamento della parete può essere limitato ad una porzione del rivestimento mucoso, sino ad interessare l’intera parete colecistica: è quest’ultimo il quadro più classico della definizione di colecisti a porcellana. Esisterebbero quindi sostanzialmente due tipi di colecisti a porcellana: quello in cui il coinvolgimento interessa solo la mucosa, e quello in cui tutta la parete della colecisti appare calcifica (Machado).
L’eziopatogenesi è legata alle stesse condizioni che determinano la litiasi della colecisti; si tratta quindi di tutte quelle situazioni di ristagno di bile in colecisti per un deflusso insoddisfacente della stessa. In senso stretto l’ipotesi è che la calcificazione interessi primitivamente lo stato muscolare, determinando quindi una devascolarizzazione della parete con successivo aumento della calcificazione.
L’incidenza sarebbe dell’1% di tutte le colecisti asportate chirurgicamente; le femmine ne sarebbero maggiormente affette con un rapporto di 5:1 rispetto ai maschi. L’età più spesso interessata si situa sopra i 60 anni. Nel 95% la colecisti a porcellana si associa alla presenza di colelitiasi; tale situazione cronica associata alla persistenza dei fattori causa di colelitiasi, sarebbero alla base del formarsi di una colecisti a porcellana.
Istologicamente, come detto, l’estensione dello stato calcifico è variabile. Nelle forme a macchia di leopardo si situano le condizioni più temibili per l’istaurarsi di una neoplasia; ciò sarebbe dovuto al formarsi di quadri infiammatori cronici della mucosa colecistica, siti tra le aree calcifiche (Machado). Nei casi di estesa calcificazione, la mucosa sparisce per cui essendo l’origine del ca. della colecisti dalla mucosa, il rischio sarebbe inferiore. Comunque, stabilire il rischio di neoplasia in base a queste caratteristiche deve essere preso ancora con prudenza (Machado).
Clinicamente il quadro può essere simile a quello di una calcolosi della colecisti, alla quale spesso la colecisti a porcellana si associa, ma nel 18% dei casi può essere asintomatico (Machado).
La diagnosi è spesso casuale, effettuata, nei casi con estesa calcificazione, con un Rx Addome in bianco (vedi immagine sopra) o una TAC (Patel). Anche una ecografia o una NMR possono suggerire la diagnosi. I dati di laboratorio sono spesso normali. Nei casi sintomatici la diagnosi differenziale viene posta con patologie infiammatorie intestinali o con ulcere o con quadri cardiaci o embolici.
La prognosi nei casi di colecisti a porcellana senza neoplasia è ottima; nel caso di cancro della colecisti è progressivamente più grave a seconda dello stadio della malattia neoplastica.
Il trattamento chirurgico è quello della colecistectomia, che sembra gravato da una maggiore incidenza di complicanze nei casi di colecisti a porcellana (Machado).
Esistono discussioni relative alla reale rischio di una colecisti a porcellana di determinare l’insorgenza di tumore della colecisti; tale evoluzione in termini percentuali sembra oggi ridimensionata. Mentre (Machado) alcune pubblicazioni non recenti riportavano una evoluzione neoplastica nel 7-60% dei casi, recentemente l’incidenza è stimata tra 0,8 e 6% (Machado, Schnelldorfer); sarebbe invece l’1% nei pazienti senza calcificazioni della colecisti. Ciò probabilmente è dovuta anche a diagnosi meno tardive rispetto ad un tempo (Machado). Il clinico, in presenza di una colecisti a porcellana, è facilitato nelle sue decisioni di procedere chirurgicamente nel caso la patologia sia sintomatica; nei casi asintomatici una decisione non è semplice: anche a causa delle complicanze chirurgiche possibili, sembra proponibile ai soggetti giovani, meno ovvia ad anziani nei quali sembra più appropriato un follow-up (Machado).
L’intervento è rappresentato classicamente dalla colecistectomia. Il trattamento laparoscopico sembra più complesso con un tasso di conversione a laparotomia del 5-25%. Complicanze nelle colecistectomie laparoscopiche usualmente intorno al 3% giungerebbero al 10-16% (Machado) nelle colecisti a porcellana. Sarà poi utile un attento esame istologico.

Bibliografia:

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK518979/
Machado NO, Sultan Qaboos Univ Med J. 2016 Nov;16(4):e416-e421.
Patel NJ, Abdom Radiol (NY). 2017 Jan;42(1):322-323
Schnelldorfer T, June 2013, Volume 17, Issue 6, pp 1161–1168

Polipi della colecisti – gallbladder polyps

Un polipo della colecisti è una protrusione della mucosa della colecisti nel suo lume. Essi si presentano nel 5% della popolazione, ma solo il 5% di questi sono veri polipi e potrebbero avere una potenzialità neoplastica.
Sono in genere asintomatici, ma in alcuni casi possono dar luogo a sintomatologia, quando probabilmente essi o loro detriti possono dare quadri ostruttivi.
I pseudo-polipi sono innocui, mentre i veri polipi possono evolvere in un temibile cancro della colecisti.
La diagnosi dovrebbe in primo luogo discriminare tra un calcolo ed un polipo; quindi distinguere tra un polipo vero ed un pseudopolipo, quindi stabilire le dimensioni di tali formazioni. Le modalità diagnostiche comprendono la ecografia addominale senza e con contrasto, la TAC e la Risonanza Magnetica. La presenza in ecografia di un aspetto a coda di cometa evoca un pseudopolipo, un polipo colesterinico. L’ecoendoscopia è una recente modalità diagnostica che sembra sia efficace ma solo per i polipi di dimensioni superiori ai 10 mm; in realtà nessuna delle tecniche sopradescritte permetterebbe però una sicura distinzione tra polipi veri e pseudopolipi di piccole dimensioni.
Il 70% dei polipi sospetti sono in realtà pseudo polipi (Wiles).
Ciò che sembra emergere dai diversi studi è che i polipi che degenerano sono quelli di dimensioni maggiori, e che il rischio di malignità aumenta nettamente con i polipi di dimensioni superiori ai 10 mm; per questi è indicata la colecistectomia; sembra anche che per i polipi di diametro inferiore ai 5 mm il rischio di malignità sia nullo (McCain); si consiglia quindi il follow-up dei polipi tra 4 e 10 mm; tale follow-up consisterebbe in 2 TAC a distanza di 6 mesi e quindi ogni anno sino a 5 anni; ma tale protocollo può variare in relazione a fattori di rischio (McCain). Questi sarebbero lo stato di unicità o di molteplicità dei polipi (i polipi multipli avrebbero minor rischio di evoluzione) (Wiles); il fatto che i polipi sessili sarebbero maggiormente a rischio di quelli peduncolati; l’età oltre i 50 anni, anche se i polipi abbiano un diametro tra 6 e 9 mm; l’appartenenza al gruppo etnico indiano (India e indiani d’America); una concomitante Colangite Sclerosante indipendentemente dal calibro del polipo (McCain); una concomitante litiasi della colecisti invece non aumenterebbe il rischio;

In uno studio istologico (XU) effettuato su 1446 colecistectomie per polipi della colecisti, l’87,1% erano rappresentati da lesioni colesteriniche (pseudo polipi), l’11,2% da lesioni benigne non colesteriniche (adenomi 8,9%), mentre nell’1,6% dei casi si trattava di polipi maligni. Clinicamente i pazienti con lesioni colesteriniche presentavano più spesso alterazioni del profilo lipidico. All’analisi multivariata fattori predittivi di malignità erano un’età > 50 anni, dimensioni superiori ai 10 mm, la presenza di sintomatologia e la coesistenza di litiasi. Xu propone un algoritmo nel quale sono candidati alla chirurgia non solo coloro con polipi > 10 mm,sintomatici o con litiasi associata, ma anche quei polipi tra 5 e 10 mm in soggetti con età > 50 anni e solitari.

Nel caso di polipi multipli la strategia, secondo alcuni, si basa sulle dimensioni del polipo di calibro maggiore (Wiles). Come detto i polipi a maggior rischio sono quelli solitari, ma alcuni autori in analisi abbastanza datate (1998) considerano l’esistenza di una indicazione alla chirurgia quando ci siano polipi multipli in numero inferiore a tre, indipendentemente dalle dimensioni (Shinkai).
Wiles propone un algoritmo che conferma le osservazioni di McCain: conferma la colecistectomia dei polipi con diametro > 10 mm; in quelli inferiori ai 10 mm in primo luogo si valuta l’esistenza di una sintomatologia che riconduca alla colecisti; se la colecisti si ritiene sia collegata ai sintomi propone la colecistectomia (Marangoni); se la sintomatologia è assente ci si basa sull’esistenza di fattori di rischio quali l’età > 50 anni, la coesistenza di una colangite sclerosante (Marangoni), la etnicità indiana, la presenza di un polipo sessile ed un ispessimento parietale > 4 mm. In caso di presenza di qualcuno di questi fattori, se il polipo ha diametro < 6 mm si propone una osservazione periodica; se il diametro è tra 6 e 9 mm si propone la colecistectomia; se i fattori di rischio sono assenti, si propone una osservazione ecografica sino a 5 anni; se il polipo aumenta di 2 mm la colecistectomia è consigliata (Wiles).

McCain RS, World J Gastroenterol 2018 July 14; 24(26): 2844-2852
Wiles R, Eur Radiol (2017) 27:3856–3866
Xu A, J Gastrointest Surg (2017) 21:1804–1812
Marangoni 2012 HPB 2012, 14, 435–440
Shinkai H, 1998, Am J Surg 175:114–117

La Colecistite Acuta Alitiasica (AAC)

La colecistite acuta senza calcoli è una infiammazione acuta della colecisti in assenza di calcoli e quindi senza una ostruzione del dotto cistico (Treinen). Si tratta di una patologia le cui prime osservazioni risalgono al 1844 (Treinen); avverrebbe nel 2-15% dei casi di colecistite (Gu, Ganpathi).
La fascia di età più colpita sarebbe oltre i 50 anni (GU).
Non si sa esattamente quali ne siano le cause. Ne sarebbero colpiti soprattutto pazienti con problematiche cerebro o cardiovascolari (Gu), pazienti ustionati (Barie), pazienti sottoposti ad intervento chirurgico o dopo un trauma e comunque pazienti compromessi dal punto di vista medico e ricoverati in ospedale; in realtà una colecistite alitiasica acuta può colpire anche pazienti sani (ganpathi) e quindi non ospedalizzati. Inoltre nei pazienti pediatrici circa il 50% delle colecistiti sono alitiasiche (Barie, Poddighe).
La patogenesi sarebbe legata a colestasi o a fattori ischemici della colecisti, scatenata da eventi diversi (Poddighe) quali una nutrizione parenterale prolungata, stati di shock, sepsi, cardiochirurgia, malattie sistemiche quali la leucemia. A volte nei pazienti pediatrici sono implicate eziologie batteriche o virali per esempio da HAV (Poddeghe) o da EBV (podeghe); quest’ultima eziologia è stata riscontrata recentemente anche in AAC in adulti (Agergaard).
Il problema è che però questa entità avrebbe una prognosi peggiore della colecistite con calcoli (litiasica) (Treinen): una colecistite gangrenosa si avrebbe nel 31% dei casi (Gu) ed una perforazione della colecisti nel 10% (Barie).
La diagnosi si basa sui segni clinici classici di una colecistite con segni ecografici di ispessimento delle pareti della colecisti (> 3,5 mm – Barie) e la presenza di fluido pericolecistico (Treinen).
Il trattamento rimane una colecistectomia aperta o meglio, laparoscopica (Treinen), ma un primo tentativo potrebbe essere fatto con degli antibiotici (GU) soprattutto nei pazienti senza un empiema della colecisti (Gu). Alcuni Autori (Kirkegaard, Treinen)) riferiscono come nella AAC in pazienti ad alto rischio, la colecistostomia percutanea sia una possibilità di cura definitiva con alta probabilità di successo. Tale procedura sarebbe comunque controindicata nel caso di perforazioni della colecisti (Treinen). Secondo alcuni il drenaggio della colecistostomia dovrebbe rimanere in sede almeno 3 settimane (Treinen). Il trattamento può limitarsi alla colecistostomia o essere seguito dopo qualche settimana da una colecistectomia (Treinen).
Le AAC da EBV in pazienti adulti sembra abbiano un andamento meno grave, tale da non rendere necesario un intervento chirurgico (Agergaard).
Morbidità e mortalità nei pazienti gravi sarebbero inferiori (Treinen) con la colecistostomia percutanea rispetto alle colecistectomie aperta o laparoscopica.
Comunque si segnala una mortalità del 10% dopo 30 giorni dal trattamento.
La mortalità in uno studio del 2015 sarebbe del 2.9% (Gu) ma può arrivare al 6%.

Bibliografia – References
– Kirkegaard, Scandinavian Journal of Surgery 2015, 104(4) 238 –243
– Gu, Digestion, 2014; 90:75-80
– Treinen C; Langenbecks Arch Surg 2015, 400:421–427
– Poddighe D; 2015; International Journal of Hepatology, Article ID 45960
– Ganpathi IS, HPB, 2007; 9: 131-134
– Agergaard, J; International Journal of Infectious Diseases 35 (2015) 67–72

La colecistectomia subtotale.

Jama surg

Gli interventi di colecistectomia non sono tutti uguali. Esistono colecistectomie “difficili”. In questi casi vi sono diverse possibilità; una di queste consiste nell’esecuzione di una colecistectomia subtotale. Uno studio interessante su questa opzione è stato effettuato recentemente, con un articolo da Autori del Kettering General Hospital in UK e del Department of Human Physiology, Laboratory of Biometry, University of Tor Vergata, Rome, Italy.

Si tratta di uno studio effettuato sulla base di articoli della Letteratura, con una metanalisi.

Una colecistectomia difficile sembra si abbia in circa il 16% delle colecistectomie aperte o laparoscopiche. Tra le tecniche impiegate vi sono la colecistostomia (per ovviare alla infiammazione della colecisti), oppure la colecistectomia partendo dal fondo (contrariamente alla tecnica usuale) o, appunto, la colecistectomia subtotale. Lo scopo di queste tecniche è di evitare lesioni della via biliare principale, cioè del coledoco.

La colecistectomia subtotale asporta solamente parti della colecisti e non la colecisti nella sua interezza.
Da una raccolta iniziale di 750 articoli, 30 vennero ritenuti idonei per lo studio comprendendo complessivamente 1231 pazienti sottoposti ad una  colecistectomia rivelatasi difficile.
La tecnica della colecistectomia subtotale consiste nell’aprire o perforare la colecisti a livello del fondo o della tasca di Hartmann, aspirandone il contenuto, quindi nella resezione ed asportazione della parete anteriore; poi si procede ad asportazione ma più spesso a coagulazione della parete posteriore che rimane attaccata al letto della colecisti; il cistico quindi viene suturato dall’interno o clippato o legato (endoloop, endoGIA) o viene effettuata una borsa di tabacco sul moncone di colecisti. Viene quindi posizionato in genere un drenaggio.

Le complicanze postoperatorie riportate dai vari studi comprendono:
– una fistola biliare nel 18% dei casi (in particolare nel 42% dei casi in cui il cistico non viene chiuso, nel 16% nel caso esso venga chiuso, nel 20% dei casi in cui la parete post della colecisti non venga asportata e nel 7% nel caso lo sia, nel 31% delle colecistectomie laparoscopiche e nel 6% di quelle laparotomiche). Tali fistole si risolsero spontaneamente e rapidamente (tra la 4° e la 12° giornata postoperatoria solo nel 5% dei pazienti).
– Una raccolta sottoepatica nel 2,9% dei casi (in particolare nel 19% dei casi in cui il cistico non viene chiuso, nell’1,5% nel caso esso venga chiuso)
– Una lesione del coledoco nello 0,08% dei pazienti, una emorragia nello 0.3%, una ritenzione di calcoli nel 3%.
– La necessità di una Colangiografia retrograda (ERCP) nel 4% dei pazienti (causa la ritenzione di calcoli nel 58% dei casi, e nel 30% per persistenza di una fistola biliare).
– Un reintervento vero e proprio nell’1,8% dei pazienti e nel 5% dei casi in cui il cistico non era stato chiuso.

La mortalità dopo 30 giorni è riportata dello 0,4%. Complessivamente non ci sono differenze statisticamente significative a seconda che il cistico venga chiuso o no, o che la parete post della colecisti venga asportata o no. Comunque l’approccio laparoscopico rispetto a quello laparotomico presenta minore morbidità e mortalità.
L’incidenza di complicanze del coledoco risulta quindi più bassa nelle colecistectomia subtotali che in quelle totali (0,08% in laparoscopiche e laparotomiche vs 0,4% nelle laparoscopiche). In particolare tale complicanza risulta praticamente assente nei casi in cui il cistico o il moncone della colecisti non viene chiuso.
Una emorragia è assente nei casi in cui, soprattutto nei pazienti cirrotici, la parete post della colecisti non venga asportata.
Fistole biliari e raccolte sottoepatiche sono prevedibilmente più frequenti nelle colecistectomie subtotali (18% vs 0,3% nel primo caso e 2,9% vs 0,1% nel secondo). L’incidenza di queste complicanze sarebbero maggiori nei pazienti cirrotici.
L’incidenza di reinterventi chirurgici e di mortalità sarebbe maggiore nelle colecistectomie subtotali che nelle totali (1,8% vs 0,2%; 0,4% vs 0,08%) ma non ci sarebbero differenze a seconda che il cistico o il moncone della colecisti venga chiuso o che la parete post della colecisti venga asportata.
In conclusione la colecistectomia subtotale è una tecnica che deve essere presa in considerazione nelle colecistectomie difficili, in particolare in quanto evita lesioni del coledoco. Ovviamente non può sostituire la classica colecistectomia totale.

__________________________________________________________________________

Mohamed Elshaer, MD; Gianpiero Gravante,MD, PhD; Katie Thomas, MD, PhD; Roberto Sorge, PhD; Salem Al-Hamali, MD; Hamdi Ebdewi, MD
Subtotal Cholecystectomy for “Difficult Gallbladders”. Systematic Review and Meta-analysis
JAMA Surg. doi:10.1001/jamasurg.2014.1219 Published online December 30, 2014.

Jama surg

Valutazione preoperatoria di rischio nella colecistectomia laparoscopica

E’ uscito recentemente un articolo che ritengo interessante, a proposito delle colecistectomie laparoscopiche.
Esso valuta il rischio che una colecistectomia laparoscopica possa risultare complicata ed analizza alcuni fattori che potrebbero dare una valutazione quantitativa pre-operatoria della eventuale difficoltà dell’intervento.
L’articolo è interessante anche in quanto raccoglie nella bibliografia alcuni articoli, scritti dal 1998 al 2014, che più volte hanno cercato di individuare appunto i vari fattori di rischio.
La novità di questo studio, che ha analizzato 586 colecistectomie per calcoli in elezione in un ospedale della Slovacchia, è che riguarda essenzialmente l’analisi di 9 fattori unicamente pre-operatori (e non per esempio intra-operatori) e che considera come espressione di difficoltà non la sola conversione chirurgica da laparoscopia a laparotomia, ma una valutazione “continua” del grado di difficoltà effettuata dal chirurgo operatore.
I fattori preoperatori presi in considerazione sono stati il sesso maschile, una colica biliare occorsa meno di 3 settimane prima di una chirurgia, una storia di colecistite acuta trattata in modo conservativo, una pregressa chirurgia addominale nell’addome superiore, dolore in ipocondrio destro, una difesa nello stesso settore, ed alcuni dati ecografici quali una parete della colecisti ispessita (≥ 4 mm) o idropica (diametro ≥ 4,5 cm) o atrofica. Ad ognuno di questi parametri venne attribuito un punto, mentre 2 per la chirurgia pregressa in addome superiore. La difficoltà dell’intervento venne valutata in base al tempo operatorio e da un punteggio di valutazione soggettivo postoperatorio effettuato dal chirurgo operatore (punteggi da 0= nessun problema, a 4=conversione).
Al termine si trovò una correlazione tra il tempo operatorio e la valutazione postoperatoria del chirurgo; tra il rischio preoperatorio e la valutazione postoperatoria del chirurgo; tra il punteggio preoperatorio ed il tempo operatorio. Infine si individuò una correlazione tra il punteggio preoperatorio e sia il tempo chirurgico che la valutazione postoperatoria del chirurgo che la percentuale di conversione della chirurgia.
Al termine dello studio vennero dunque catalogati 5 livelli di difficoltà (con punti 0, 1, 2, 3, ≥4) che presentavano differenze significative in tempi operatori, valutazione postoperatoria e percentuali di conversioni da una colecistectomia laparoscopica a quella laparotomia.
Il rischio 0, corrispondente a 0 punti è relativo ad un intervento semplice; il rischio 1, con 1 punto ad una chirurgia con problemi minimi; il rischio 2 con 2 punti ad una chirurgia difficile; il rischio 3, con 3 punti, ad una chirurgia molto difficile; il rischio 4, con punteggio uguale o superiore a 4, a situazioni di conversione.
Il punteggio deve comunque essere validato da altri chirurghi.

Bibliografia:
Marek Soltes, Jozef Radonak
A risk score to predict the difficulty of electove laparoscopic cholecystectomy
Videosurgery Miniinv 2014; 9(4): 608-12

La colecistite acuta, oggi

Colecistectomia laparoscopica in colecistite

La colecistite acuta rimane una patologia comune, la cui codifica per quanto riguarda la tempistica terapeutica rimane dibattuta. In effetti sino ad ora si era ritenuto che l’atteggiamento più corretto fosse quello di un trattamento antibiotico iniziale e di una chirurgia dilazionata, dopo 4-6 settimane.

Tale approccio viene oggi posto in discussione. Ed anche se oggi si ritiene che un intervento precoce sia vantaggioso, non è chiaro cosa si intenda per precoce, se entro 2 giorni o entro 10 giorni dal presentarsi dei sintomi.

Approfittiamo dunque di un articolo uscito recentemente su una importante rivista medica (JAMA, 17 dic 2014) e dal titolo Optimal Time for Early Laparoscopic Cholecystectomy for Acute Cholecystitis (autore Syed Nabeel Zafar, Department of Surgery, Howard University Hospital, Washington) per approfondire qualche aspetto ed avere qualche utile suggerimento sulle colecistiti acute..

Lo studio si occupa di colecistectomie laparoscopiche precoci, cioè effettuate entro 10 giorni dalla comparsa della sintomatologia acuta colecistitica, e cerca di definire in quali giorni dalla comparsa della sintomatologia, l’intervento sia meglio effettuabile in termini di mortalità e morbidità.

Si tratta di uno studio prospettico effettuato dal 2005 al 2009 su un numero enorme (95.523) di pazienti adulti (atà > 18 anni) sottoposti ad intervento appunto entro 10 giorni dalla comparsa della sintomatologia. Gli interventi di colecistectomia laparoscopica vennero divisi in tre gruppi a seconda dei tempi di esecuzione: 61.576 tra il giorno 0 ed 1 (gruppo che chiameremo A), 30.838 tra il giorno 2 e 5 (gruppo B), 3109 tra il giorno 5 e 10 (gruppo C). I risultati vennero analizzati in termini di tempi di tempi di degenza, mortalità, complicanze e costi.

Globalmente la percentuale di mortalità fu dello 0,41% mentre di complicanze del 6,9%. Il tasso di conversione da chirurgia laparoscopica ad aperta fu stabile allo 0,1%, mentre quello di lesioni biliari anche se basso, risultò aumentare gradualmente dal gruppo A al gruppo C (rispettivamente 0,02%, quindi 0,01% e poi 0,1%).

Come risultati si osservò che i pazienti operati nei gruppi 2 e 3 ebbero risultati peggiori rispetto al primo gruppo in termini di mortalità e di infezioni postoperatorie. I costi medi ospedalieri andarono da 8274$ nel gruppo A a 17.745 nel gruppo C.

Al termine dello studio si dedusse che il periodo ideale per la chirurgia era rappresentato dalle prime 48 ore dopo la comparsa della sintomatologia colecistitica acuta. Quindi in un quadro di colecistite rimandare l’intervento determina aumento sia delle complicanze che dei costi.

colecistectomia laparoscopica

Lygia Stewart: Iatrogenic Biliary Injuries Identification, Classification, and Management. Surg Clin N Am 94 (2014) 297–310

Le lesioni biliari iatrogene surg clin N am

L’articolo segnala che negli Stati Uniti vengono effettuati ogni anno 750.000 colecistectomie laparoscopiche. Tale tipo di intervento offre numerosi vantaggi rispetto a d una colecistectomia classica con ampia incisione addominale (laparotomica) che consistono in un minore dolore, minori infezioni di ferita, migliore effetto estetico, minore attivazione dei fattori infiammatori, ed un più rapido ritorno alla attività lavorativa. A causa di tali vantaggi, la colecistectomia laparoscopica ha in gran parte sostituito quella laparotomia nel trattamento dei calcoli della colecisti. Il solo possibile svantaggio della colecistectomia laparoscopica è una più elevata incidenza di lesioni biliari maggiori. Studi effettuati su un gran numero di pazienti segnala una incidenza di tali lesioni corrispondente allo 0,3-0,5%, mentre quella delle colecistectomie laparotomiche è dello 0,1-0,2%. Bisogna segnalare che comunque alcuni autori segnalano anche per le colecistectomie laparoscopiche una incidenza di tali lesioni biliari maggiori, dello 0,2%. Peraltro, l’incidenza di tali lesioni nelle colecistectomie laparoscopiche cosiddette “single-port”, cioè con unica piccola incisione di ingresso, è ancora più alta, corrispondente allo 0,72%.

surg clin N amEsistono diversi tipi di lesioni biliari, classificate attualmente in modo leggermente diverso secondo le classificazioni di Bismuth o di Strasberg o di Stewart-Way.

Se la lesione non viene identificata e trattata immediatamente, durante la colecistectomia, i sintomi ed il quadro lesivo può manifestarsi più in là nel tempo, nel periodo postoperatorio.

In quei giorni diventa importante capire esattamente di quale danno si tratti, in genere con una colangiografia retrograda.

Un dato interessante è che la riparazione biliare eseguita dal chirurgo o dalla struttura che ha determinato la lesione, ha una percentuale di successo del 17-30%. In realtà tali lesioni andrebbero trattate da chirurghi esperti in chirurgia epatobiliare: in questi casi la percentuale di successo sale a oltre il 90%.