Emorragia intraepatica spontanea

Una rottura spontanea di una lesione epatica è un evento raro che può mettere a repentaglio la vita del paziente e che deve essere prontamente trattata (Bertacco). 
Dopo gli adenomi, l’epatocarcinoma (HCC) è la seconda patologia che per frequenza può dar luogo ad una complicanza emorragica. L’incidenza di rottura secondo alcuni si situerebbe tra il 3 ed il 15%, o tra il 3 ed il 26% (Singhal), con una incidenza di mortalità ospedaliera tra il 7 ed il 25%, secondo altri tra il 32% ed il 66% e tra il 25 ed il 100% (Yoshida). La frequenza di rottura di un HCC sarebbe molto più elevata in Asia (26%) rispetto all’Occidente (3%) (Yoshida). I dati sulla frequenza della rottura di un HCC sono comunque variabili: in realtà in base ad uno studio Giapponese del 2014 su 50000 casi di HCC, una rottura si ebbe nel 2,3% dei pazienti (Aoki).
La patogenesi della rottura di un HCC non è chiara e potrebbe essere legata ad una alterazione dei vasi afferenti prevalentemente arteriosi, ad uno stato di congestione, ad un episodio di coagulopatia, ad una rapida crescita con necrosi tumorale, sanguinamento intralesionale, quindi rottura della capsula e sanguinamento all’esterno (Singhal, Yoshida). L’emorragia sarebbe più frequente nei casi con funzione epatica maggiormente compromessa. Fattori di rischio per la rottura sarebbero uno diametro maggiore del tumore, un punteggio di Child-Pugh peggiore, un maggiore numero di piastrine, una età inf ai 60 anni e nei pazienti HBsAg positivi (Aoki). Nel caso di Epatocarcinomi, si sono avuti casi di rottura anche in seguito a TACE o in trattamento con Sorafenib.
Un emangioma invece (Moccheggiani), in uno studio su 157 angiomi con diametro > 4 cm, avrebbe un rischio di rottura del 3,2%, se superiore ai 4 cm di diametro; negli emangiomi con diametro < 4 cm, il rischio di rottura sarebbe nullo; invece, sarebbe del 10,8% per gli emangiomi giganti (> 4 cm) se periferici ed esofitici; e dell’1% per gli emangiomi giganti centroepatici. Il rischio sarebbe maggiore per gli emangiomi nel lobo sn rispetto a quelli siti a dx (Yoshida). Altri ritengono che vi sia maggior rischio in donne giovani, rispetto agli anziani, con lesioni di diametro di almeno 11 cm, prima di una gravidanza oppure all’inizio di terapie a base di estrogeni o anticoagulanti (Donati). Comunque la rottura spontanea di un angioma è molto rara.
La frequenza di emorragia degli adenomi è, come detto, elevata, essendo intorno al 14% (Nault, in uno studio su 411 pazienti) o, secondo altri del 15-20%. Un fattore di rischio sarebbero le lesioni con diametro superiore ai 5 cm, ma si sono avute emorragie anche da lesioni più piccole.

In caso di rottura di un HCC la mortalità sarebbe del 20% e comunque elevata (Singhal) soprattutto nei pazienti cirrotici.
Clinicamente il sintomo più frequente è il dolore acuto e lo stato di shock (Yoshida, Orcutt).
La diagnosi di una massa emorragica come un epatocarcinoma rotto è difficile: alcuni autori (Singhal) nel caso di rottura di un HCC parlano dell’esistenza alla TAC contrasto in fase arteriosa dell’”enucleation sign”: si evidenzierebbe cioè una discontinuità della superficie del fegato in una lesione ipercaptante e centralmente ipocaptante come da necrosi.
Il trattamento consta di due fasi: 1) il controllo dell’emorragia (resezione chirurgica d’urgenza, embolizzazione arteriosa ossia TAE, packing, sino al trapianto; una embolizzazione arteriosa sarebbe efficace nel controllo dell’emorragia nel 53-100% dei casi (Yoshida). 2) il trattamento definitivo del tumore.
Una resezione chirurgica in primis in urgenza non è sempre consigliabile (Yashida) per le condizioni del paziente al momento dell’emorragia; secondo alcuni tale strategia ha una mortalità ospedaliera del 16,5-100% (Yashida); spesso il trattamento è preferibile effettuarlo in due tempi; in un paziente emodinamicamente instabile il trattamento iniziale può consistere in una Embolizzazione arteriosa (TAE) o nel cosiddetto packing (compressione con garze) o nella legatura periferica dell’arteria epatica propria (Yashida) se una TAE non è efficace. Alcuni autori, a scopo emostatico, hanno effettuato il controllo della fase acuta con una Radiofrequenza circonferenziale all’area emorragica (Bertacco).
Il trattamento migliore in urgenza è considerata la TAE in quanto una laparotomia in urgenza in questi pazienti è sempre una procedura a rischio (Yoshida). Tale procedura potrebbe anche non essere ben tollerata in pazienti con punteggio di Child-Pugh avanzato, con un MELD > 10, o pazienti con trombosi portale; nel caso la TAE non sia effettuabile è necessaria una chirurgia in urgenza che consisterebbe in un “packing” con contemporaneo intermittente clampaggio portale.
Il secondo tempo del trattamento, quindi successivo e definitivo, è la resezione chirurgica in elezione. Questa può effettuarsi anche dopo qualche mese. La resezione chirurgica in due tempi (cioè p.e. dopo una TAE), se confrontata con la resezione immediata, presenta una mortalità ospedaliera molto più bassa (0-9% rispetto a 50%)(Yoshida).
La sopravvivenza dei pz con rottura di un HCC, in base ad un ampio studio di Aoki in Giappone nel 2014 su 1106 HCC con rottura spontanea, è inferiore a quella di pazienti con HCC senza rottura: la sopravvivenza a 5 anni è del 13% vs 45% rispettivamente nei pz con HCC rotto o integro. Di per sé quindi la rottura di un HCC è un fattore prognostico negativo (Yoshida).

Mocchegiani 2016, Dig and Liver Dis, 48:309-14
Bertacco A, Journal of Medical Case Reports (2017) 11:54
Singhal 2016, J Clin Exp. Hepatology, 6,335-6
Yoshida 2016, hepatology Research, 46:13-21
Orcutt 2016, Jama Surgery, 151 (1):83-4
Donati 2011, J Hepatobiliary Pancreat Sci, 18:797–805
Aoki T, 2014, Ann Surg, 259:532–542
Nault JC, Gastroenterology 2017;152:880–894